Notizie
17.12.2025

Finanza sostenibile: il coltellino svizzero del mercato finanziario

Dopo l’euforia di alcuni anni fa, sul versante della finanza sostenibile è ora subentrata una certa disillusione. Le aspettative erano forse troppo elevate? Oppure la considerazione di criteri ecologici, sociali e di governance è semplicemente inutile? È tempo di condurre una breve analisi. 

In linea di principio i superlativi dovrebbero sempre indurre ogni lettrice e lettore allo scetticismo. Nel mondo digitale, che ha già conosciuto varie stagioni di grandi promesse e successive disillusioni, una volta l’imprenditore tecnologico Peter Thiel ha sintetizzato la questione in modo eloquente: «Volevamo auto volanti e invece abbiamo ottenuto 140 caratteri». Lo stesso schema si ripete anche per quanto riguarda la finanza sostenibile. Il quadro di riferimento era stato definito con la presentazione del piano di azione «Finanziare la crescita sostenibile» da parte della Commissione UE nel 2018, il cui obiettivo intendeva essere quello di indirizzare i flussi finanziari verso gli investimenti sostenibili e tutelare il sistema finanziario dai rischi climatici. Peraltro, già dopo un solo anno le aspettative erano state riviste ulteriormente al rialzo con il varo del Green Deal europeo. 

Dopo una serie serrata di interventi normativi come CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) e SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) è ora subentrata una certa disillusione – e non solo nell’UE. Da un lato è vero che i prodotti d’investimento che pubblicano le proprie caratteristiche ambientali o sociali ai sensi degli articoli 8 e 9 SFDR ammontano attualmente a quasi il 50% dei patrimoni amministrati nell’UE e che, con una quota fino all’84% del patrimonio globale di fondi sostenibili, l’Europa è di gran lunga il maggiore mercato per questa tipologia di prodotti. Tuttavia, i mezzi finanziari non stanno confluendo nella transizione ecologica nella misura auspicata.

Dalle considerazioni morali fino all’investibilità e all’impatto 

La revisione della SFDR avviata il 20 novembre 2025 rappresenta una buona occasione per fare il punto della situazione su varie criticità d’impianto e sulle relative cause. Per prevenire fin da subito possibili malintesi, occorre specificare che varie delle misure normative introdotte sono effettivamente opportune. A complemento degli aspetti puramente economici, è importante integrare nelle decisioni anche fattori ecologici e sociali, in quanto in una prospettiva di lungo periodo non vi sono alternative. L’effetto auspicato non è tuttavia facile da raggiungere. La finanza sostenibile si configura come un approccio articolato e multidimensionale che, come un coltellino svizzero, racchiude molteplici attrezzi per impieghi differenti. Questi strumenti possono essere categorizzati in modo ottimale sulla scorta delle possibili motivazioni sottostanti: mentre cento anni fa l’approccio era inizialmente fondato su considerazioni di natura puramente morale, alla fine degli anni ’90 dello scorso secolo la prospettiva si è spostata su valutazioni di rischio-rendimento. A partire dagli anni 2010 sono ora gli effetti ecologici e sociali («impact») a essere passati in primo piano. Ma mentre chi vuole avere la coscienza a posto deve evitare a prescindere e con coerenza finanziamenti o investimenti in aziende a elevata criticità ambientale o sociale, il concetto di transizione implica che il capitale debba essere messo a disposizione proprio delle aziende più inquinanti affinché possano cambiare – ovviamente sempre di pari passo con un dialogo attivo con le imprese («active ownership») o attraverso strumenti come i sustainability-linked loan.

La finanza sostenibile ha bisogno di una base  

Questo scenario solleva la domanda su chi abbia effettivamente la necessaria competenza decisionale e la relativa responsabilità. Il riflesso di addossare questi oneri esclusivamente a banche e asset manager risulta inadeguato per due ordini di ragioni: da un lato, gli intermediari finanziari svolgono le proprie attività di investimento esclusivamente su incarico della clientela. Dall’altro lato, nell’ambito dei finanziamenti le banche sono tenute a considerare debitamente non solo l’impatto ecologico e sociale, ma anche la sostenibilità finanziaria a lungo termine e il rischio. La chiave per la necessaria trasformazione risiede pertanto nelle condizioni quadro che vengono (e devono essere) poste dalla politica, tenendo sempre ben presenti l’investibilità e/o la finanziabilità dei progetti in questione. Se le attività economiche causano costi ecologici o sociali che devono essere sostenuti dalla collettività, occorre dunque introdurre nel sistema di mercato ad esempio una tassa sul CO2 o un apposito sistema di certificati. A questo punto risultano superflui anche complessi apparati normativi di natura burocratica come una tassonomia.  

In sintesi, è possibile affermare che il disincanto nel frattempo subentrato in merito alla finanza sostenibile si fonda in massima parte su presupposti errati e su speranze eccessive, in particolare da parte del mondo politico. È necessaria una comprensione ampia e approfondita delle possibilità e dei limiti del «coltellino svizzero» della finanza sostenibile. E, sulla base di questi elementi, occorrono poi condizioni quadro in grado di gettare fondamenta solide per la finanziabilità e/o l’investibilità di una transizione coronata da successo. 

InsightFinanza sostenibile

Autori

Erol Bilecen
Direttore Finanza sostenibile
+41 58 330 62 48

Contatto per i media

Sei un giornalista?
Il nostro team sarà lieto di rispondere a qualsiasi domanda:
+41 58 330 63 35